BERITH – L’ALLEANZA è il titolo del primo romanzo di Matteo Corvino, una storia che promette di tenere incollati alle pagine. Ecco l’intervista a questo nuovo autore esordiente.
Un romanzo di avventura che affonda le radici nell’architettura sacra e nella storia antica, con sfumature misteriose e intriganti; a quale lettore è rivolto questo libro?
Al lettore che voglia vivere un’avventura sincera, che non sfoci nell’assurdo. In BERITH – L’ALLEANZA, tutto è assolutamente verosimile, e il lettore si troverà presto a non saper distinguere il vero dal romanzato. Mi piace pensare che, terminato il racconto, alcuni vorranno approfondire determinati aspetti per conto loro.
Inoltre, credo che chi prenda in mano questo libro sia incuriosito dall’idea del Sacro e si chieda quanto spazio questo debba avere nella propria vita, o nella vita di una comunità. Io sono del parere che riflettere su quest’idea non sia tempo perso, contrariamente a quanto molti sostengono.
Infine, nel romanzo si parla molto dell’università e delle sue dinamiche. Credo che chi persegue, o sogna, una carriera accademica, si immedesimerà parecchio con il protagonista.
Collegandomi a ciò che hai menzionato prima, in BERITH -L’ALLEANZA il confine tra il vero e il romanzato è piuttosto sottile. Puoi dirci qualcosa di più?
L’oggetto dell’indagine, il Tabernacolo di Mosè, è descritto nella Bibbia con minuzia di particolari. È indubbio che architetture simili siano esistite e che siano state utilizzate come luoghi di culto. Chiunque abbia scritto quella parte di testo, basava il suo racconto sull’osservazione, non ha inventato di sana pianta. Poi, va da sé che i luoghi in cui si svolge la trama, le città, le università e i musei, ogni via menzionata, esistono e sono lì per essere visitati.
Quello che ho fatto è stato inserire un rinvenimento archeologico eccezionale in un contesto storico vero, quello che ha portato alla formazione – travagliata − dello stato di Israele. Dopo di che, il background diventava per me molto stimolante. Ci ho aggiunto un paio di personaggi ambigui e un protagonista in crisi.
In una storia simile, le ambientazioni giocano un ruolo fondamentale, ti va di descriverci i luoghi che fanno da sfondo ai personaggi?
La storia inizia a Monaco di Baviera, la mia città d’adozione. Monaco è elegante, ricca, verde, la città perfetta in cui il protagonista non riesce comunque a trovare pace. Poi c’è la Val d’Orcia, la Toscana più caratteristica, più mitica, che lo circonda di profumi, sapori e vecchi ricordi. Infine la Giordania, con la sua caotica capitale e il deserto tutt’intorno, rosso, solitario, silenzioso. Più il protagonista si spinge avanti nella sua ricerca, più è forte l’effetto che i luoghi hanno su di lui.
Parliamo del protagonista, Teo, quali sono le caratteristiche che lo rendono speciale?
Come la maggior parte dei giovani italiani espatriati, Teo è homo europaeus vero e ne va fiero. È intelligente, parla tre lingue.
Ma è anche un ricercatore che sta attraversando un periodo difficile, e all’inizio del romanzo lo troviamo un tantino apatico. È preso tra l’incudine degli obblighi accademici e il martello di dover fare qualcosa in cui crede davvero. Questa avventura che si trova a vivere, questo tunnel in cui si infila come Alice nella tana del Bianconiglio, tirerà fuori aspetti del suo carattere che sembravano sopiti. È testardo come un mulo, e tende a diventare piuttosto aggressivo se sospetta di non essere preso sul serio. L’aspetto più evidente è il suo essere disposto a sacrificare tutto, pur di trovare le risposte ai quesiti che lo ossessionano.
La scrittura del libro ha richiesto molta preparazione e ricerca per aspetti più tecnici?
Sì, molta, ma bisogna considerare che buona parte di questa preparazione proviene dagli studi universitari, durante i quali ho avuto modo di studiare le architetture bibliche in maniera approfondita, assieme alle tecniche architettoniche e archeologiche che vengono menzionate nel libro. L’aspetto che ha richiesto ricerche extra è quello relativo alla formazione dello stato di Israele.
Se ti chiedessi tre parole per descrivere il libro, cosa risponderesti?
Avventuroso, malinconico, sincero.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Preferisco risponderti con i libri che hanno lasciato su di me un segno profondo e che, in un modo o nell’altro, hanno influenzato la stesura di BERITH – L’ALLEANZA: “Possessione” di Antonia Byatt, “Yucatan” di Andrea de Carlo, “Oltre il Cristianesimo” di Marco Vannini (che non è un romanziere, ma uno dei massimi studiosi del Sacro), “Il pendolo di Foucault” di Umberto Eco.
Parliamo di te: quando e a che punto della tua vita hai deciso di dedicarti alla scrittura?
Quando mi sono reso conto che il lavoro, la carriera che mi sono trovato a perseguire, mi stava allontanato da tutto ciò che avevo studiato. Tutto quel tempo passato a studiare architetture morte, come si chiede il protagonista di BERITH… Per niente?