Torniamo a un’estate che ha cambiato tutto: stiamo parlando di quella del 2001, a luglio, quando a Genova è andato in scena il G8. Ed è proprio lì e in quel momento che Fulvio Di Sigismondo ha ambientato il suo nuovo romanzo: “Città d’acciaio”.
L’autore ci racconta il romanzo in questa intervista.
Quando è nata dentro di te l’esigenza di scrivere “Città d’acciaio”?
Dopo la pubblicazione di “Eravamo soli” non mi sono “forzato”, non sono andato alla ricerca di una storia da scrivere a tutti i costi. Ho aspettato e la storia di “Città d’acciaio”, oggi posso dirlo, ha trovato me. È nata grazie a diverse circostanze e segnali. Quando ho maturato l’idea di scrivere di un rapporto difficile tra un padre e un figlio, ho anche pensato che le giornate del G8 potessero simbolicamente rappresentare un tempo in cui il conflitto potesse contenere, come del resto accade nella vita, il presupposto di un cambiamento e di una opportunità. In fondo il libro è questo che racconta.
Nel romanzo ci sono diversi personaggi, ce li presenti?
Mi piace pensare ai cinque personaggi principali, che prestano il loro sguardo ai lettori durante le difficili giornate del G8, come a cinque anime.
L’anima “tormentata” del romanzo è quella del vicequestore di polizia Vittorio Bolla, il personaggio più complesso, lacerato dalle scelte compiute nei confronti di suo figlio Marcello, solo e perennemente “sul limite”, capace di suscitare giudizi contrapposti, contradditorio e per questo profondamente umano. Marcello è l’anima “pulita” di questa storia, un giovane che pur ferito dai fatti della vita, non si smarrisce e trova voglia e motivazioni per migliorare, attraverso il proprio impegno, la realtà.
Il commissario Franco Puglisi è l’anima “nera” di questa storia, coinvolto nelle trame oscure che aleggiano sulle giornate del G8, un personaggio distruttivo e autodistruttivo, capace di scelte estreme.
Il giornalista militante Fabio Alinovi è l’anima “narrante”, è un Virgilio che ci accompagna con il suo sguardo partecipe e coinvolto nell’inferno delle giornate genovesi. E poi Franziska, l’anima “ferita”, portatrice di una cicatrice da guarire, a Genova per cercare la sua salvezza. La sua storia è la più dura.
Quanto hai vissuto (e in che modo) in prima persona il luglio del 2001 a Genova?
Partecipai alla giornata festosa che si concluse con il grande concerto di Manu Chao, vidi don Andrea Gallo sul palco esaltare una folla festante. Quella sera nessuno aveva paura, ma il peggio doveva ancora arrivare. Non fui a Genova nelle giornate degli scontri, seguivo, attonito, dalla tv. Ero preoccupato perché tanti amici e amiche erano a Genova e ne tornarono salvi, ma profondamente segnati, sconvolti.
C’è qualcosa che ti ha colpito in modo particolare di quei giorni che nessuno di noi dimenticherà?
L’enorme mobilitazione delle persone, la grande convocazione di tante e tante persone che convintamente chiedevano un mondo diverso, svincolato dal modello di sviluppo della globalizzazione, dai suoi aspetti peggiori, quelli con i quali facciamo i conti oggi. E poi la violenza: dalle devastazioni dei black bloc, alla risposta repressiva delle forze dell’ordine che ha agito indiscriminatamente. E ancora il caos che ne derivò, la morte di Carlo Giuliani, fino all’irruzione alla scuola Diaz e alle violenze nella Caserma di Bolzaneto.
Se dovessi scegliere tre parole per descrivere “Città d’acciaio” quali sarebbero?
Intenso. Amaro. Necessario.
Una frase del romanzo che secondo te racchiude bene il senso della storia.
Non è semplice estrapolarne una a significato del tutto. Scelgo il ritratto che Fabio fa di Genova non appena arrivato e uscito dalla stazione di Brignole. Forse non ci racconta la storia, ma ci descrive in quale clima avvenne:
“Mi guardo intorno e impiego solo pochi istanti per comprendere che in questi giorni, quelli del G8, in queste torride giornate, la città che ho conosciuto non esiste più. Genova mi appare come paralizzata dalla paura, cancellata dal continuo viavai dei mezzi blindati e delle volanti, aggredita dalle gru che movimentano e posizionano, con un rumore assordante, giganteschi containers nelle sue strade. La guardo e la scopro spaventata dal rombo degli elicotteri che la sorvolano incessantemente, grigia, nonostante la giornata di sole, semideserta, nel sottofondo incessante e ostile del sibilo delle sirene, cupa e nervosa nel passeggiare rapido e sospettoso delle poche persone che vedo in giro.”
C’è una dedica particolare che accompagna questo romanzo?
Il libro contiene, implicita, una dedica, ma preferisco che siano i lettori a scoprirla. Qui voglio dedicare “Città d’acciaio” a chi a Genova manifestò per un modo diverso e possibile e a tutti coloro che non intendono dimenticare quello che accadde.