Quando la montagna parla.
Dove ghiaccio attende, tra sentieri di montagna
e travagli interiori con Matteo Bertone
La prossima primavera porterà sugli scaffali delle librerie il nuovo romanzo di Matteo Bertone, autentico piemontese appassionato di montagna. Ed è proprio la montagna, con i suoi sentieri e le sue regole, una delle protagoniste di Dove ghiaccio attende, edito da AltreVoci: una storia dove il coraggio delle decisioni è sempre intrecciato alla fragilità e alla paura. In montagna, come nell’amore.
Dove ghiaccio attende è un viaggio attraverso le angosce di Guido, un quarantenne in piena crisi esistenziale alle prese con il passo più importante della sua vita. Il romanzo si avvolge tra tanti personaggi che sembrano formare la trama di un tappeto. Immaginiamo di osservarla dal basso: chissà quale filo ci porterà sino al termine? Poi, alla fine, ti accorgi che il protagonista assoluto è lo sbarluccichio delle nevi, la magia delle vette bianche, la musica del silenzio, i suoni feltrati dei passi sulla coltre nevosa. Ma la bellezza di questo racconto si può ritrovare anche nei personaggi che ci accompagnano attraverso le pagine: Haruki, che assieme ai sentieri di montagna percorre anche il cammino tortuoso della mistica, o André, seduttore incallito, ex DJ convertito ai silenzi ovattati delle vette valdostane. Questi sono sono solo alcuni figuranti che l’autore dipinge con i colori dell’anima. Ma alla fine la star è solo lei, la montagna.
Quando e come la montagna ti ha raccontato questo libro?
La montagna ha fatto da sfondo a momenti importanti della mia vita. L’ho vissuta da bambino, con lo sci, la neve, la mia famiglia. Nell’adolescenza è ritornata per un po’, sempre in inverno, insieme agli amici, a una fidanzata dell’epoca, a mia sorella. In qualche modo c’è sempre stata, laggiù al fondo della pianura, nelle giornate limpide e ventose. È sempre lì, anche quando siamo sommersi dalla nebbia, sappiamo che prima o poi apparirà di nuovo, è solo questione di tempo, bisogna aspettare e avere pazienza. Ma da qualche anno ho scoperto un altro modo di praticarla, più intimo e consapevole, più rispettoso e sostenibile. Camminando su e giù per i sentieri, raggiungendo rifugi e bivacchi, riscoprendo il valore della lentezza. Da quando la frequento più assiduamente ho imparato a comprenderla meglio, ad ascoltarne la voce, che è una sola, ma ha molte sfumature. La si può percepire sui crinali, lungo i sentieri, sulle pietraie, in mezzo ai boschi, nell’acqua ghiacciata dei torrenti. In quei contesti tutto ciò che conta è trovare il giusto equilibrio tra meraviglia e fatica, tra scoperta e rispetto. Forse la montagna non cancella i tuoi problemi, ma riesce a riportarli nell’ordine delle cose. Il libro nasce da tutto questo e da una restituzione: le cime hanno saputo ascoltare le mie paure, incertezze e fragilità, mi hanno accolto e fatto sentire parte di qualcosa, e in qualche modo lo dovevo raccontare, per rendere loro il mio tributo. La storia del libro è frutto di fantasia, ma tutti i luoghi sono reali; sono salito al rifugio Deffeyes quattro volte tra il 2015 e il 2018, fermandomi lassù ogni estate per qualche giorno, e quei panorami mi sono rimasti dentro fino a che scriverne è diventato un bisogno urgente e irrinunciabile. Lassù ho incontrato persone meravigliose, ho vissuto piccole e grandi disavventure, e da tutte quelle esperienze è nato un racconto breve, che poi, in una fase successiva, si è sviluppato in un romanzo.
Il finale “aperto” è stata una tua scelta o lo svolgersi della trama ti ha suggerito questa tecnica?
Il finale ha subito molte riscritture. Senza voler fare spoiler, avevo bisogno di capire meglio il destino dei miei personaggi, di ascoltarli più a fondo, perché sono proprio loro a decidere, a chiederti di compiere un’azione piuttosto che un’altra. Perciò ho posato la penna e ho lasciato che mi parlassero, ho imbastito la scena e li ho lasciati liberi di scegliere. Ma in questa scelta ho voluto coinvolgere anche il lettore, perché amo i libri che permettono di spaziare con la fantasia oltre le pagine.
Non riesco a capire se il messaggio che veicoli sia un inno alla gioia dell’inaspettato oppure è pura disillusione. Mi aiuti?
Quando inizio a scrivere una storia non parto mai dal messaggio. Il messaggio per me non è un punto di partenza, ma di arrivo. È qualcosa che emerge poco per volta, che si manifesta solo attraverso la scrittura e le riscritture. A volte può affiorare in una fase molto avanzata, mentre io stesso sono ancora alla ricerca di una luce, tra parole, dialoghi e silenzi. Il messaggio di questa storia, almeno per come la interpreto io, è racchiuso proprio nel ghiaccio del titolo. Il ghiaccio può essere tanto solido e compatto da sembrare eterno, difficile persino da scalfire, eppure basta un aumento delle temperature per metterlo in pericolo, per far emergere la sua fragilità. E quell’aumento delle temperature è l’inaspettato, ciò che non avremmo ritenuto possibile, e che invece sta succedendo. Di fronte all’inevitabile è inutile disperare, così come perdere le speranze. Anche dall’inevitabile, a volte, può nascere qualcosa di buono. Bisogna avere pazienza, respirare, prendersi cura di ciò che abbiamo, aspettare che le nebbie si diradino e compaiano ancora le montagne in fondo alla pianura, magari più limpide e luminose di prima. Il messaggio, potremmo dire, è un inno al valore dell’attesa e alla gioia della sorpresa.
Certo che è un romanzo che occhieggia a un sequel…
Non sono un amante dei sequel, in generale, ma devo ammettere di aver riflettuto su possibili sviluppi della storia, magari facendo parlare altri personaggi, sparigliando le carte, sviluppando storie parallele. Mi piacerebbe raccontare di un gruppo di camminatori, di come non solo la montagna possa avere un’influenza positiva o negativa su chi la vive e la pratica, ma anche di come le dinamiche di gruppo ne siano influenzate. Ho vissuto questa situazione e ho sperimentato come la montagna sia in grado di creare in breve tempo legami di amicizia e vicinanza che sarebbero impensabili in qualsiasi altro contesto.
Intervista a cura di Aldo Boraschi